Serie D
La (non) scuola siciliana
Mi è capitato spesso di discutere sull’esistenza o meno di un “scuola di fotografia siciliana”. Gli autori interpellati tendenzialmente mi rispondono di no e credo che ciò sia dovuto al carattere, all’individualismo e alla forte personalità dei siciliani. Eppure il fotografo Roberto Strano, palermitano, li ha recentemente raccolti in un bel libro, edito da Postcart, dal titolo “Compagni di viaggio, fotografi siciliani sparsi nel mondo” e, a guardarli, si possono riconoscere dei tratti comuni: dall’uso rigoroso del bianco e nero, a un modo di guardare il mondo e la società, che diventa un modo di comporre le loro immagini. Forse le “scuole” non nascono consapevolmente e rivelano la loro essenza e la loro esistenza con il tempo e nel crescere delle produzioni. Quella siciliana verrà riconosciuta negli anni, studiando gli archivi degli autori.
Se esiste una “scuola siciliana”, comunque, Federico Ficarra ne fa sicuramente parte, nonostante la giovanissima età.
“Serie D” è un progetto realizzato utilizzando il linguaggio del reportage fotogiornalistico, che nulla concede a sterili estetismi o a forzati sensazionalismi.
La sua piccola e discreta fotocamera ci racconta le contraddizioni, a tratti assurde, delle “baracche” del Rione Taormina, un quartiere che, pure essendo nel centro di Messina, somiglia a una favela ed è quanto di più lontano dallo splendido barocco siciliano.
Il progetto ha un forte valore documentaristico e a raccontare questa realtà sono i muri delle abitazioni, gli allacci abusivi, gli impianti fatiscenti, l’amianto e i volti delle persone che vivono in queste case, che non soddisfano i minimi requisiti igienici, ma che pure loro considerano “casa”.
Le fotografie di Federico sono ravvicinate, intime e dimostrano un’empatia creata con le persone che ritrae. Eugene Smith, raccontando del suo reportage sulla giornata di un medico di campagna (pubblicato su “Life” nel 1938), dichiarò di essersi dovuto “confondere con la carta da parati”, di essere diventato invisibile. In questo caso il fotografo non è invisibile: lavora e ascolta, partecipa, raccoglie testimonianze e sfoghi, registra i sogni realizzabili e quelli irrealizzabili degli abitanti di questo rione, fermo e fuori dal tempo. Il sogno realizzabile, probabilmente, è una casa assegnata dal Comune (chi scrive ha assistito ad un primo turno di assegnazioni, se pur non in quel rione); il sogno irrealizzabile è che la nuova casa, la “vera” casa, sia lì, dove vivono adesso, perché pur nel disagio permangono legami con il territorio che chiunque può comprendere e condividere: dalla scuola dei figli alle relazioni sociali.
Tutto questo ci racconta Federico con le sue immagini, lucide e appassionate, con il merito di dare luce e voce a chi non riesce ad averne.
Ringrazio Federico per avermi reso partecipe di questo progetto e, visto che la maggior parte dei fotografi siciliani hanno scelto di lavorare fuori dall’isola, gli auguro di continuare a documentare e raccontarci la sua terra.
Maurizio Garofalo
Quando si evoca il tema dell’abitare – e della sua negazione – il pensiero va ai paradossi della città contemporanea in cui la separazione tra ricchezza e povertà è sempre più grande, e dove centri urbani dal cuore smart, green, fast… convivono con immense periferie dalle differenti anime sociali e tipologie edilizie.
Parafrasando Tolstoj potremmo dire che tutte le periferie felici sono simili tra loro (edilizia di qualità, aree verdi, attrezzature sportive,…) mentre ogni periferia infelice è infelice a modo suo: tutti mondi di margine che hanno come regola l’esclusione urbana ma ciascuno con una genesi e una storia diversa da raccontare.
Rasa al suolo due volte nell’ultimo secolo – nel 1908 dal terremoto e nel 1943 dai bombardamenti alleati – Messina è tra le città dell’Unione europea con la più alta emergenza abitativa, nonostante si tratti per molti aspetti di una “città di fondazione” ricostruita grazie ad un rilevante intervento pubblico, dapprima esclusivo (nelle fasi del post terremoto) poi preponderante (dal dopoguerra agli anni Novanta).
Il terremoto per Messina rappresenta lo spartiacque di una nuova cronologia che avrebbe potuto essere ricordata come si fa sui libri di storia con un a.M. e un d.M., un “ante” e un “dopo”: c’è un trauma fisico, sociale, economico e antropologico nella storia di questa città che ancora non è stato superato, e un dibattito sulla ricostruzione destinato ancora a non spegnersi.
Dal punto di vista urbanistico è un “dopo” che dal piano di ricostruzione del Borzì (1910) lascia passare sessantasei anni prima di arrivare al piano Tekne per poi procedere di Variante in Variante (’90, ’98, ’02), sempre sovradimensionate rispetto al reale fabbisogno abitativo ma non risolutive rispetto all’emergenza casa, al contrario producendo il paradosso di una città con un numero cospicuo di vani vuoti e, al contempo, col permanere delle baracche. Neanche la legge regionale n. 10/1990 per il risanamento delle aree baraccate della città di Messina (500 miliardi di lire) – con i suoi sette piani particolareggiati delle aree da risanare (tra cui anche il Rione Taormina) – è riuscita a risolvere la questione.
Oggi degli alloggi d’emergenza costruiti a ridosso del 1908 non resta quasi traccia, mentre permangono successivi riadattamenti e sostituzioni di baracche e casette in aree degradate, senza servizi minimi e condizioni di sicurezza, realizzate con materiali a base di amianto; inoltre, una sorta di “moto perenne” ha dato vita ad una “rioccupazione” continua degli alloggi abbandonati dalle famiglie assegnatarie di edilizia popolare e riutilizzati da nuove famiglie con la speranza di acquisire lo status di “avente diritto”.
Alla ricerca di soluzioni all’emergenza abitativa (è chiaro che la questione “straordinaria” delle baracche si somma a quella ordinaria), negli ultimi anni due esperienze hanno segnato un cambio di passo e anche di punto di vista: il Progetto “Capacity” (avviato dal Comune di Messina nel 2017) e lo Schema di massima del nuovo Prg in corso di redazione.
Capacity, finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del “Bando Periferie”, dichiara esplicitamente di fondarsi sui valori della Costituzione e attiva in maniera integrata: la ricerca scientifica e tecnologica (art. 9), lo sviluppo dell’economia sociale e solidale (artt. 4, 38 e 41), la riconquista della dignità per i soggetti che vivono condizioni di forte discriminazione e/o di forte esclusione sociale (art. 3). Il progetto rifiuta la logica del quartiere ghetto e promuove il risanamento di due aree baraccate di Messina (Fondo Saccà e Fondo Fucile, dove si vive mediamente sette anni di meno e la mortalità perinatale è quattro volte superiore rispetto al resto della città) coniugando temi sociali e urbanistici.
Lo Schema di massima del nuovo Prg improntato ai principi della resilienza ambientale e del contenimento del consumo di suolo, prevede un ampio e diffuso processo di rigenerazione urbana che assume particolare rilevanza proprio negli ambiti in cui il livello di degrado connesso alla presenza di insediamenti precari e abusivi sollecita strategie e tattiche più efficaci.
La complessità delle questioni descritte fa emergere come la soluzione al problema delle baracche non possa tradursi soltanto nella destinazione di un alloggio a chi ne è privo.
Alla ricerca non di una casa, non solo, ma di una dignità sociale e tra infinite gradazioni di grigio, Serie D narra vite, attese, delusioni e sogni (sicuramente a colori) di uomini e donne che vorrebbero diventare cittadini di serie A… e se non loro almeno i propri figli.
Marina Arena
Docente di Tecnica e Pianificazione urbanistica - Università di Messina
Ringraziamenti
Ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutato in questo progetto e tutti gli abitanti del Rione Taormina per avermi permesso di raccontare la loro vita e la loro storia con una gentilezza unica e per niente scontata.
Ringrazio il giornalista Franz Riccobono per avermi raccontato la storia della città, andando a chiudere i pezzi che mancavano del puzzle.
Un grazie a Paola Cominetta e Maurizio Garofalo per avermi “tenuto la mano” nell’editing e nella realizzazione di questo reportage.
Infine, ringrazio i pochi compagni che giorno dopo giorno mi hanno incitato
a non mollare mai.
Federico Ficarra
info@federicoficarra.it